Osservazioni sulle Sonate d'Intavolatura,in particolare sulla seconda parte, per cembalo

Il contesto musicale in cui vedono la luce le Sonate d'Intavolatura per Organo e Cimbalo è quello romano del secondo decennio del Settecento, periodo in cui è ancora forte l'influenza dello stile di Arcangelo Corelli e di Bernardo Pasquini. Da quest'ultimo - secondo le notizie fornite da Giovanni Battista Martini (1706-1784) - Domenico Zípoli prese direttamene lezioni, anche se solo dopo aver ricevuto gli insegnamenti di Alessandro Scarlatti a Napoli - dal quale "[] scapò [sic!] per acuta differenza" - e quelli del noto didatta Lavinio Felice Vannucci (autore delle Regole da Sonare, e Cantare, e Comporre, e Trasportare per li Principianti) a Bologna. Per avere un'idea completa della formazione musicale di Zípoli, e delle coordinate del suo stile, si deve tuttavia tener conto anche dei probabili contatti che egli ebbe a Firenze con Giovanni Maria Casini, uno degli ultimi esponenti della grande scuola organistica classica dell'Italia centro-settentrionale.

A Roma, Zípoli giunge non prima del 1709, per rimanervi fino al 1716. In quell'anno parte per Siviglia, in Spagna, dove entra nei gesuiti all'età - piuttosto avanzata - di ventotto anni. La cosa non deve sorprendere, dato che è immaginabile quale fosse l'educazione religiosa ricevuta dal compositore in una famiglia in cui figuravano già un fratello sacerdote e una sorella suora. Taluni sostengono che Domenico Zípoli sia stato Maestro di musica presso il Collegio Romano, uno dei più importanti centri di formazione teologica in Italia, retto, appunto, dai gesuiti; non sappiamo se fu l'eventuale vicinanza a questa istituzione, che condusse Zípoli a Siviglia per divenire novizio proprio nella Compagnia del Gesù; con sicurezza, si può affermare che i suoi contatti con l'ordine fondato da Sant'Ignazio fossero comunque molto stretti, visto che nel frontespizio dell'edizione delle Sonate d'intavolatura per organo e cimbalo, apparse sempre nel 1716, egli stesso si qualificava già come "Organista della Chiesa del Giesu [sic!] di Roma []".

Un titolo di non poco conto, dal momento che questo splendido tempio cristiano del XVI secolo - sorto al centro di Roma fra il 1568 e il 1584, grazie alla munificenza del Cardinale Alessandro Farnese (1520-1589) - era senz'altro da considerarsi uno dei luoghi più importanti della cultura e della spiritualità gesuitica e, più in generale, di tutta l'ecclesialità romana. Fu lo stesso S. Ignazio, infatti, ad auspicarne la costruzione (nel 1551 ebbe luogo la cerimonia della prima pietra), per soddisfare le esigenze della Compagnia, a cui non rispondeva più la modesta chiesetta di S. Maria della Strada (così chiamata perché s'incontrava sulla strada papale che congiungeva S. Pietro a S. Giovanni in Laterano) di cui egli aveva ottenuto il beneficio parrocchiale. Tale prestigio era perfettamente coerente con l'immenso valore artistico che la Chiesa del Gesù aveva assunto fin dai primi anni della sua esistenza. Basti pensare che un artista come Michelangelo Buonarroti aveva offerto gratuitamente a S. Ignazio un suo progetto per la chiesa (che poi sarebbe stato in gran parte utilizzato per realizzare la Basilica di S. Giovanni Battista de'Fiorentini), anche se l'architettura generale dell'edificio venne poi affidata al favorito dei Farnese, Giacomo Barozzi, detto il Vignola, mentre la splendida facciata e i ritocchi della cupola furono progettati da Giacomo della Porta. Inoltre, grazie all'incontro della sensibilità di Gian Paolo Oliva (padre generale dei Gesuiti) e dell'illustre pittore Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio, fra il 1672 e il 1672, la Chiesa del Gesù poté essere completata con quegli splendidi affreschi che sintetizzano mirabilmente tutto il carattere gesuitico del progetto dell'edificio sacro - centrato sulla figura del Ss. Salvatore - che ha come epicentro il monogramma IHS (di origine greca, ma reinterpretato in chiave latina come "Iesum Hominum Salvator" e in chiave gesuitica come "Iesum Habemus Socium", o ancora "Iesu Humilis Societas"). Chissà se alla simbologia architettonica e pittorica della Chiesa del Gesù, non sia possibile legare anche il titolo dell'opera zípoliana. L'acrostico offerto dalle prime due parole del titolo scelto - Sonate d'Intavolatura, non più così convenzionale all'epoca - sembrano, infatti, richiamare le parole Societas Iesu, (Società di Gesù: S. I.) e le stesse iniziali del fondatore della Compagnia del Gesù, S. Ignazio.

Lo stretto rapporto fra evangelizzazione ed espressione artistica, d'altronde, aveva trovato nella Compagnia del Gesù un terreno che si era mostrato assai fertile tanto nell'Europa cristianizzata, quanto nelle terre di missione. Al teatro (il cosiddetto Dramma scolastico, perché messo in scena dagli stessi studenti) veniva dato grande spazio nella Ratio atque institutio studiorum (1586-1591) che regolava l'ordinamento di tutti i collegi gesuitici. Oltre a raffinare la cultura e il gusto dei futuri sacerdoti, (e dei futuri appartenenti alle classi dirigenti di tutti i più importanti stati europei) la gestualità attorica rappresentava un'ottima palestra per padroneggiare l'arte oratoria e la postura dinanzi ad un auditorio di fedeli. Alla musica - com'è ben noto - fu affidato l'arduo compito di accompagnare il processo di integrazione culturale delle popolazioni indigene. Nel caso dell'Europa, l'influenza della cultura gesuitica, fin dagli inizi del XVII sec., è testimoniato dalla produttività musicale del Collegio Romano (fondato nel 1551), del Seminario Romano (che ebbe tra i collaboratori, il Palestrina), e di tutti gli altri collegi "nazionali" presenti a Roma al capo dei quali vi erano unicamente gesuiti. Fra questi, il Collegio Germanico (dove insegnarono da Vittoria e Carissimi) e il Collegio Inglese (che ebbe come insegnanti Anerio e Mazzocchi). Uno scenario complessivo traboccante di arte: si pensi solo alle rappresentazioni, in quei luoghi, degli oratori di Alessandro Scarlatti, di Bernardo Pasquini, di Ottavio Pitoni, di Agostino Agazzari. In Francia, l'influenza della Compagnia del Gesù - che tentava "[]di avvicinare il più possibile il servizio divino alla comprensione dei fedeli e di plasmarlo corrispondentemente al gusto del tempo" -, secondo Willi Apel, potrebbe spiegare la brusca svolta stilistica degli organisti che in pochi anni abbandonano il carattere austero di Titelouze - che troviamo ancora in Roberday - assumendo le forme decorate di Nivers (1632-1714), Gigault (1624-1707) e di Lebègue (1630-1702). Nelle terre di missione, la musica europea veniva esportata senza timori, creando così i presupposti di quella meravigliosa scuola barocca che fiorì in America Latina (in particolare in Paraguay) per tutto il Settecento. È proprio in quella parte del mondo, che la musica di Zípoli ricevette grandi apprezzamenti, continuando a mantenere la sua fama anche molti anni dopo la morte del compositore e persino dopo la sanguinosa espulsione dei gesuiti e la temporanea soppressione dell'ordine, avvenuta nel 1773, sotto il pontificato di Clemente XIV. Del resto, uno stralcio di queste vicende è giunto alla conoscenza di un vasto pubblico, grazie alla bella pellicola Mission, del 1986 (fra i protagonisti, Robert De Niro). Al termine dei suoi studi teologici, Zípoli concluse la sua esistenza, il 2 gennaio del 1726, senza poter coronare il suo sogno di essere ordinato sacerdote, a causa di un banale disguido (in quel momento la sede episcopale di Cordoba risultava vacante).

Nelle vicinanze della Chiesa del Gesù aveva dimora la nobile Maria Teresa Strozzi, principessa di Forano, un piccolo ma importante centro del Lazio, fra Poggio Mirteto e Magliano Sabino, ove il Palazzo principesco - situato nei pressi della Chiesa della Ss. Trinità - andò in seguito in proprietà ai Sauve, di cui attualmente porta il nome. L'abitazione romana della principessa - che corrisponde al civico 11 di Piazza di Torre Argentina, oggi sede della Fondazione Besso - distava solo un centinaio di metri dalla Chiesa. È molto probabile che Zípoli abbia impartito alla nobildonna qualche lezione di musica, e che questa abbia poi finanziato le stampe delle Sonate d'intavolatura a lei dedicate. Non è escluso che Maria Tersa Strozzi fosse imparentata con Leone Strozzi, il vescovo che aveva cresimato Zípoli nella cattedrale di Prato nel 1699; ciò spiegherebbe con maggior coerenza la dedica delle Sonate d'Intavolatura. La dizione "d'Intavolatura" o "Intavolate", serviva nel Seicento a indicare che le composizioni erano state edite con un sistema di due pentagrammi, cioè con una scrittura propria degli strumenti a tastiera, in opposizione a quelle che venivano ancora pubblicate in forma di partitura poli- strumentale/vocale, cioè con quattro o più righi, aventi ciascuno la propria chiave. Come già accennato, nel 1716, è ancora ben chiara questa distinzione, anche se essa appare superata da circa un cinquantennio (cfr. p.e. la Selva di varie composizioni d'intavolatura per cimbalo et organo [Messina, 1664] di Bernardo Storace o i Capricci da sonare cembali et Organi op. 4 [Napoli, 1687], di Gregorio Strozzi).

L'opera di Zípoli si presenta in due parti. Nella prima parte delle Sonate d'Intavolatura per Organo e Cimbalo, che contiene la bella dedica, sono collazionate "[] Toccata, Versi Canzone, Offertorio, Elevazioni Post Comunio e Pastorale []", il che fa pensare ad una raccolta di brani di destinazione liturgica e quindi organistica. La seconda parte è costituita da "Preludij, Allemande, Correnti, Sarabande, Gighe, Gavotte, e Partite" e perciò rappresenta evidentemente la parte dell'opera per "Cimbalo". Non a caso, una delle riedizioni successive delle Sonate di Zípoli, quella di Walsh [Londra, s.d.], in riferimento alla seconda parte, titola Six Suites of Italian Lessons for the Harpsichord or Spinett. La fama che queste composizioni raggiunsero è, con tutta probabilità, da imputare al loro nitore armonico unito a una rigorosa scrittura contrappuntistica, caratteristiche che contraddistinsero lo stile corelliano, fino a farlo assumere come modello in tutta Europa. Con la seconda parte dell'opera V di Arcangelo Corelli e con altre raccolte dello stesso periodo, le Sonate d'Intavolatura di Zípoli condividono, infatti, molti aspetti. Innanzitutto la struttura, costituita da una serie di suites - che Corelli chiama Sonate e che Zípoli non denomina - e da un gruppo di variazioni (Corelli, come XII Sonata, compone una serie di variazioni sul basso della Follia; Zípoli introduce due Partite). In secondo luogo, la consecutio delle tonalità. È evidente che la scelta della seconda parte dell'op. V di Corelli è tesa a fornire all'ascoltatore una varietà estrema nel passare dal colore della tonalità di una sonata a quello della sonata successiva (nell'ordine: re minore, mi minore, la maggiore, fa maggiore, mi maggiore, re minore). Analogamente, nelle prime tre suites delle Sonate d'Intavolatura troviamo una successione di tonalità molto distanti fra loro: si minore, sol minore, do maggiore, mentre nelle altre tre composizioni, il passaggio è più "morbido": do maggiore, re minore, la minore; per questo motivo l'esecuzione da me proposta sarà divisa in due parti, corrispondenti a questa articolazione fra i due tipi di consecutio.

Non è trascurabile il fatto che, sia in Corelli, che in Zípoli - come del resto in molta produzione cembalistica dell'epoca - le danze della suite vadano interpretate non attenendosi strettamente alla tradizione tersicorea, soprattutto per quanto riguarda la velocità di esecuzione. Dalle danze, Zípoli, ricava solo gli elementi essenziali, che possono essere una volta il metro, un'altra il carattere generale e un'altra ancora il passo armonico. La proposta di vari saggi dell'arte della variazione, era, per le raccolte di composizioni organistiche italiane del periodo barocco, una vera e propria consuetudine. Da Gerolamo Frescobaldi a Bernardo Storace, da Gregorio Strozzi a Francesco Antonio Pistocchi, i compositori italiani proponevano - come del resto fa anche Corelli -alcune variazioni su celebri melodie: La Follia, La Spagnoletta, La Romanesca (celebrata, fra l'altro nel Settimo libro dei madrigali [Venezia, 1619]), Monica, Ruggero, ecc. Non sappiamo quale sia l'origine della melodia (o del basso armonico) dei temi delle due serie di variazioni che troviamo nelle Sonate d'Intavolatura. Forse due arie popolari, oppure due celebri melodie tratte da qualche opera o oratorio rappresentati a Roma nel periodo. Non è escluso che Zípoli si sia ispirato alla sua stessa produzione (che, nel 1716, sicuramente già noverava gli oratori Sara in Egitto [composto e dato a Firenze nel 1078], S. Antonio [rappresentato a Roma, nella Quaresima del 1712], S. Caterina [data a S. Girolamo della Carità nel 1714] - di cui purtroppo oggi rimane solo l'esigua traccia del libretto -, e forse, la cantata Delle offese a vendicarmi [conservata manoscritta alla Deutsche Staatsbibliothek Berlin]). Le due Partite sono basate sul medesimo impianto formale: dopo l'esposizione del tema e una serie di variazioni di velocità crescente, esse presentano una caduta agogica tramite una variazione "lenta", dalla quale riparte un crescendo di velocità e d'intensità. Era prassi dell'epoca, una ripresa del tema alla fine di tutte le variazioni.

Federico Del Sordo, 2001